Cover VISIONI E APPROCCI AL PESO TRA MEDICINA E FEMMINISMO

Visioni e approcci al peso tra medicina e femminismo

Un dialogo con la me stessa del passato

(PRIMA PARTE)

In questi ultimi quattro anni sono passata dal lavorare con un approccio classico al peso ad un approccio “disinteressato” al peso. La strada è stata tortuosa e complessa tra sfide, giudizi, dubbi ed errori: è difficile abbandonare un porto sicuro e conosciuto fatto da persone autorevoli e da ufficiali linee guida, per intraprendere, quasi sola, un sentiero buio e ancora poco esplorato.  È stato ancora più sfidante, però, dover affrontare i miei privilegi e dover decostruire quella visione distorta/parziale sul peso che da essi deriva: il lavoro di una professionista sanitaria è sempre contaminato dal contesto personale e culturale (politico). Laddove la scienza, infatti, è di gran supporto come punto di partenza per osservare la realtà, non può essere il punto d’arrivo. Dobbiamo porci attivamente domande più complesse, andare a fondo nei dati per evitare che la semplificazione ignori importanti variabili umane, e per evitare che si consolidino di conseguenza errori di valutazione sui quali si costruiscono pratiche cliniche che stanno in piedi su premesse manchevoli e pregiudizievoli. Ed ho scoperto con il tempo che è proprio dalle peggiori premesse che, purtroppo, si dettano le linee guida per le pratiche cliniche su peso e diete.

Dove la scienza di oggi è fragile e pregiudizievole è stato il femminismo intersezionale a illuminarmi sulle domande utili a svelare i bias e a ricercare nuove risposte, ipotesi e nuovi valori dai quali ripartire:

  • il peso non è un comportamento, non è pertanto un qualcosa di manipolabile, né una scelta. 
  • il peso non può in alcun modo determinare il valore morale delle persone.
  •  la salute è un concetto ampio e variegato che non può prescindere dall’osservazione delle dinamiche ambientali e culturali, nonché delle differenze genetiche e interpersonali. 
  •  la salute è un diritto, non un dovere, e ogni persona merita di essere posta nelle migliori condizioni di scelta circa la sua personale idea di salute.
  • la giustizia sociale è uno strumento medico di cura alla persona e di prevenzione per la comunità, non si può ignorare l’impatto delle discriminazioni e delle oppressioni in nessun ambito medico.

Come si arriva qui? Quali sono le domande? Quali gli aspetti scientifici da tenere e quali da buttare? Quali sono i valori femministi che permettono alla scienza di progredire verso una clinica rispettosa e intersezionale?

Vorrei provare a rispondere a queste e ad altre domande con un espediente particolare: un dialogo ipotetico con la me del passato, ossia una dietista che inizia ad avvertire tante incongruenze, ambivalenze e dissonanze.

Qualunque sia la motivazione che vi spinge verso la ricerca di un approccio “diverso” al peso, che siate professionistə, pazientə o semplicə curiosə, la strada verso la scoperta di questo approccio è complessa e lunga, i dubbi saranno tanti, la maggior parte dei quali non hanno una risposta univoca, ma se vi lasciassi con più dubbi che risposte, avrei raggiunto il mio obiettivo.

TRIGGER WARNING | Attenzione: le scritte in grassetto e corsivo sono relative alla me stessa di tempo fa, una dietista flessibile e non prescrittiva, ma ancora distante dall’abbracciare a pieno un approccio rispettoso al peso per questo può utilizza un linguaggio ed una terminologia stigmatizzante. Non ho bannato le sue parole (slur), ma alcune potrebbero attivare esperienze mediche passate traumatiche, o sentimenti di colpa o vergogna, per chi volesse evitare questa attivazione potrebbe tranquillamente leggere solo le risposte senza che il dialogo perdera di significato.

INTERVISTA

“Ciao, sono una dietista esperta di disturbi alimentari e obesità, sto iniziando a leggere di un approccio al peso diverso, che non prevede manipolazione, né obiettivi specifici, né diete… in cosa consiste questo nuovo approccio?”

Un approccio non focalizzato sul peso è un approccio medico che prende in considerazione la persona senza agire i pregiudizi culturali sul peso:

  • non dà per scontato che una persona grassa abbia problemi di salute, ma indaga la sua salute generale o un sintomo autoriferito con tutti i mezzi possibili, come farebbe se di fronte avesse una persona “normopeso” (e questo oggi non accade); 
  • è un approccio che non dà per scontato che una persona grassa mangi male, troppo o sia sedentaria, indaga questi comportamenti, se necessario, come farebbe con qualunque altra persona, perché sono aspetti importanti per comprendere lo stile di vita e non possono essere dati per scontati sulla base di pregiudizi, (nemmeno quando di fronte si ha una persona con un corpo “apparentemente in forma”);
  • è un approccio che non dà per scontato che una persona grassa abbia bisogno di fare una dieta o abbia interesse a cambiare il suo corpo;
  • è un approccio che considera la dieta un’esperienza traumatica e tiene in considerazione di questa esperienza e dell’esperienza dello stigma sul peso nella pratica clinica.

“Non dovrebbe essere sempre così in ambito medico?”

Certamente, dovrebbe essere così per ogni discriminazione che inconsapevolmente, e spesso in maniera automatica, agiamo come professionistə della salute.

“E allora perché non esiste, per esempio, un approccio non focalizzato sul colore della pelle?”

Non è necessario specificare l’aderenza ad un approccio non focalizzato sulla razza, perché la razza non esiste (più) in quanto concetto medico, ma solo come concetto politico/attivista.

Non è sufficiente aver preso le distanze dell’eugenetica (la scienza che dimostra la superiorità della “razza bianca”), per non agire le discriminazioni in ambito medico, ma è comunque dato per scontato che la pratica clinica non sia apertamente discriminante, cosa che non accade sul peso, dal momento che i corpi grassi sono ufficialmente patologizzati.

“Cosa c’entra ciò con l’obesità?”

Con l’ob*sità siamo al punto in cui le evidenze scientifiche (come nell’eugenetica) sono ancora così ricche di bias (errori) invisibili da sostenere un approccio al peso patologizzante con conseguenti diagnosi, trattamenti e terapie diverse/pregiudizievoli per le persone grasse.

“Quali sono questi trattamenti diversi/pregiudizievoli per le persone che soffrono di obesità e perché ciò non potrebbe essere visto invece come un atto di cura o di prevenzione per una popolazione effettivamente più a rischio?”

  • Alle persone grasse viene molto spesso consigliato di perdere peso prima di intervenire con ulteriori indagini diagnostiche, terapie o interventi che potrebbero essere invece salvavita, con conseguenti rischi sulla salute; come se la perdita di peso fosse risolutiva e senza accertarsi se questa effettivamente avvenga, si possa mantenere, o sia effettivamente connessa ai sintomi che la persona riporta in quel contesto. 
  • Alle persone grasse viene sempre consigliato un percorso di perdita di peso senza indagare lo stile di vita, le diete pregresse, l’eventuale presenza di disturbi alimentari, anche se sappiamo essere un percorso con pochissime/scarsissime evidenze di efficacia né sul mantenimento, né sul benessere e con piuttosto numerose evidenze rispetto al rischio che comportano.

Di conseguenza le persone tendono ad evitare visite mediche per non esporsi a micro aggressioni, svalutazione o deumanizzazione o visite non risolutive, e questo è un rischio per la salute.

  • Non è finita qui: 
    alcuni strumenti medici non sono adatti alle persone con un corpo grasso, con conseguente difficoltà nella diagnosi e nell’acquisizione di parametri adeguati per una valutazione ad hoc ( per esempio il misuratore di pressione a braccio rende la pressione delle persone con un braccio largo molto più alta rispetto al reale)
  • alcune procedure mediche diagnostiche o interventistiche sono diverse per via del tessuto adiposo, ma la maggior parte dei medici lamenta questa diversità con giudizio e non si esime dal farne una colpa alla persona se fa più fatica; senza nemmeno rendersi conto che la difficoltà dell’esecuzione di una procedura su un corpo diverso dipende dalla formazione medica grassofobica, la quale non prevede un allenamento sui corpi grassi; corpi che esistono, hanno bisogno e meritano cure. Per esempio, pensi che possa capitare che un medico si lamenti mentre esegue una procedura su un bambino agitato o impaurito di 5 anni? Se è antipatico sì, ma tendenzialmente si sa che i piccoli pazienti richiedono più pazienza, strategie pedagogiche, un ambiente accogliente, insomma, un allenamento specifico per garantire le stesse cure degli adulti. Immagina se un pediatra dicesse: – non posso farlo, non sta fermo, ritorni quando sta fermo-.

Rispetto alla tua domanda concludo dicendo che non riesco a percepire questo diverso (patologizzante tout court) attuale approccio all’ob*sità come un atto di cura, ma bensì come un approccio fatto di trattamenti pregiudizievoli, manchevoli, negligenti, giudicanti e stigmatizzanti. E purtroppo sono la norma e la diretta conseguenza della patologizzazione, non sono l’eccezione o la deviazione personale di alcune figure mediche rispetto alle linee guida.

“Potrebbero esistere diversi trattamenti che invece apportano vantaggi?”

Certo, diverso corpo deve equivalere a diversi trattamenti, come accennavo prima con l’esempio dei piccoli pazienti. Non è l’uguaglianza dei trattamenti che fa una buona pratica sanitaria, ma la parità nel rispetto e nel diritto alla cura: se non ci sono strumenti adatti, se non si conoscono le procedure adatte, si costruiscono, si imparano e si praticano. -Dimagrisci e poi torna, così posso curarti- non è diritto alla cura, ma discriminazione medica che si trasforma in un’oppressione invisibile molto grave.

“Sono confusa, prima dici che la diversità nella cura non è vantaggiosa, ma ora mi dici che serve invece una diversità nella cura, trovo poco chiaro questo concetto…”

Hai ragione, non è un argomento semplice, anche con il femminismo ci siamo arrivate con il tempo lungo le ondate, dal femminismo dell’uguaglianza ai femminismi di oggi… Anche quando si parla di peso e “body positive” per la prima volta è facile confondersi tra il concetto di uguaglianza e quello di parità, ma provo a raccontare in due punti perché lo slogan siamo tutti uguali– è molto pericoloso e non ha nulla a che vedere con gli approcci inclusivi al peso:

1.Le discriminazioni rendono l’accesso alle risorse diverso e le esperienze di vita diverse, le discriminazioni possono comportare traumi, e questo non può essere ignorato in un ambito di cura. L’impatto dello stigma del peso sulla salute psicofisica va considerato. In questo senso è necessario un approccio di cura diverso: è necessario saper riconoscere i propri privilegi in relazione allo stigma, o le proprie esperienze di vita in relazione ad esso per assumere: un linguaggio adeguato, la scelta delle indicazioni terapeutiche rispettose, i consigli sullo stile di vita in linea con le risorse e per far si che tutta la relazione e la comunicazione sia in linea con l’esperienza della persona che abbiamo di fronte. Non possiamo, per esempio, fare educazione alimentare ad una persona immigrata nello stesso modo in cui affrontiamo il tema con un uomo bianco benestante sposato che torna a casa e trova pronta la cena, e non è solo una questione personale, ma sistemica, se ci manca la conoscenza sull’impatto che gli assi di potere hanno sulla persone e le loro scelte di salute, ci mancano strumenti di cura adeguati.

La diversità di trattamento nel rispetto delle discriminazioni è parità, la diversità di trattamento sulla base dei pregiudizi è discriminazione:

Esempio: consigliare una dieta ad una persona “sovr*ppeso” (mentre non lo si farebbe con una paziente “norm*peso”) senza conoscere nulla oltre al peso è discriminazione; chiedere alle persone il consenso di essere pesate e spiegarne la ragione clinica di quella procedura medica è rispetto delle possibili esperienze traumatiche, ed è un atto di cura potentissimo.

2. | Oltre all’impatto dello stigma e delle discriminazioni sul benessere psicofisico e sull’accesso alle risorse non possiamo dimenticare che ad oggi la medicina è fatta principalmente sulle e per le persone bianche, magre, assegnate ad un genere maschile alla nascita, cis. Per questo servono studi nuovi, in ottica intersezionale, parametri, terapie, strumenti nuovi che siano adatti alla “diversità”, o meglio dire, varietà genetica.

-Mi sembra tutto ovvio e necessario, perché è così difficile smuovere la medicina verso una cura che consideri i traumi e le discriminazioni e che adegui le cure alla diversità? –

Mi sono spesso chiesta perché alcune convinzioni sul peso siano così radicate da rendere il personale medico-sanitario cieco ai bias sui quali si fonda tutta la loro pratica in quell’ambito. Siamo purtroppo ancora molto distanti dal vedere la medicina dell’ ob*sità come è realmente, ossia un’oppressione, e ho trovato, purtroppo, anche alcuni ambienti femministi in accordo con questa visione patologizzante (…). Mi chiedo ancora: Cosa giustifica tutto ciò? quali sono gli ostacoli che impediscono di andare oltre al concetto di salute?

Partendo da un’analisi politico-culturale, dobbiamo riconoscere che in un corpo grasso si uniscono tante discriminazioni, è un corpo queer, un corpo razzializzato, un corpo disabilitato dalla società, un corpo “fuori controllo” che si ribella simbolicamente a tutti i dictat morali liberal-capitalisti-patriarcali (2 Libri per approfondire questo concetto: Fearing the Black Body: The Racial Origins of Fat Phobia di Sabrina Strings | Grass* di Elisa Manici). La perdita di peso è metaforicamente un atto di obbedienza. 

Da un punto di vista medico un corpo grasso è un corpo che può essere associato a fattori di rischio, può essere causa o peggioramento di alcuni sindromi o condizioni patologiche e può essere il frutto o la conseguenza di uno stile di vita non protettivo. Tutto questo può accadere anche in corpo magro, o a causa della magrezza, ma sappiamo che la magrezza (anche delle persone che soffrono di disturbi alimentari) non è ugualmente disprezzata, per questo non credo affatto che la salute sia la spiegazione al perpetrare stigma sul peso. Credo piuttosto, che nelle menti più grassofobiche, la tematica della salute sia una scusa plausibile, una sorta di “giustificazione” per continuare a disprezzare i corpi grassi: non si può esplicitamente dire, infatti, in quanto figure sanitarie, che non “ci” piacciono, non “possiamo” nemmeno ammettere di avere ancora “nel DNA” tutti i peggiori pregiudizi del post colonialismo europeo, quindi il disdegno si aggancia al rischio per la salute, ma soprattutto alla colpa che ne conseguirebbe secondo un illogico volo pindarico.

“Però il grasso è un problema per la salute”

Hai mai sentito parlare di campagne per informare circa la pericolosità dei pregiudizi e dello stigma sul peso? Anche quello contribuisce in buona parte (forse in maggior parte) alla salute delle persone, eppure non se ne parla né nella clinica per aiutare le persone a liberarsi dello stigma interiorizzato (altro enorme fattore di rischio), né nella comunità per trasformare una cultura così discriminante e pericolosa. (Se ci importasse la salute così tanto, senza pregiudizi, partiremmo a lì…)

Ci sono poi altre condizioni fisiche o comportamenti collettivi o individuali, che scegliamo oppure no, che sono rischiosi per la salute, come per esempio: il fumo, lo sport eccessivo o altamente rischioso, alimentazione sbilanciata quando condotta da persone magre, guida spericolata, uso di sostanze o alcol etc…, ma non esiste un disprezzo uguale a quello per i corpi grassi. Quando osserviamo come gli eroi nei film siano fighi se guidano un’auto a tutta velocità fumando e bevendo whisky tutte le sere per poi fomentare risse nei bar; mentre le persone grasse siano sempre rappresentate come figure marginali, goffe, simpatiche o da “trasformare” ci rendiamo facilmente conto che –non è una questione di salute-.

“A questo non ci avevo mai pensato, però sappiamo che il fumo non fa bene, e per questo ci sono sempre attive campagne per smettere di fumare, così come sull’alcol e sulla guida etc… “

Il fumo è un comportamento, il peso no! Non si sceglie il proprio peso naturale: la credenza che i corpi grassi siano nati magri e destinati a essere magri/”normali” se solo non avessero vissuto esperienze negative, se solo non avessero mangiato male, se solo non fossero stati sedentari è s b a g l i a t a.

Il peso è una variabile ampia e la genetica offre un ventaglio di espressioni dei corpi delle forme e del peso che nemmeno ci immaginiamo.

Fa rabbrividire questa credenza se pensiamo, sempre per far il parallelismo con un’altra discriminazione, che anche le persone con diverso orientamento sessuale rispetto a quelle etero erano viste come persone “deviate” a “causa” di errori o esperienze traumatiche o una serie di bizzarre ipotesi psicanalitiche.

La diversità dei corpi è una realtà, come il diverso orientamento sessuale o le infinite espressioni di genere, il rispetto e la conoscenza della diversità dovrebbe diventare il faro guida della ricerca medica, non la ricerca delle cause della “devianza”.

Aggiungo un tassello doveroso: il dialogo attorno alla “normalità” / “naturalità”  di una condizione è pericolosa e non completo, rischia di spostare la discriminazione dalla caratteristica specifica della persona (il peso) alla causa di tale caratteristica (i comportamenti). Riflettere sulla naturalità del peso può essere solo un punto di partenza per ricordarci che il giusto peso non esiste e soprattutto che non può essere in alcun modo predetto e che non sta nel “normopeso” a tutti i costi, ma non può essere un punto di arrivo: le persone, che siano grasse per (presunto) peso naturale o come conseguenze di una serie di fattori ambientali e socio-culturali che scelgono o che subiscono, meritano le migliori cure nel loro corpo di oggi e gli stessi diritti di tutte le altre persone a prescindere dalle loro scelte che esse siano giuste o sbagliate, scelte, oppure no, salutari oppure no.

… AL PROSSIMO CAPITOLO

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